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Francesco Merlo: Lotito, da macchietta a macchia




Su la Republbica, un articolo di Francesco Merlo traccia un ritratto del personaggio Claudio Lotito. Riprendiamo e pubblichiamo integralmente l'articolo. 

NEPPURE Luciano Moggi era stato beccato in modo così plateale a truccare i campionati di A e di B, persino opponendosi alla promozione che il Carpi sta conquistando sul campo.

CLAUDIO Lotito, che sembrava solo una macchietta, è invece una macchia da ripulire, un padrino del calcio italiano che truffa, manipola, ricatta per "dare una mission alle leghe, con il sistema mio". Perciò ordina di tenere lontani dalla A i club piccoli perché "se ce stanno Latina Frosinone e Carpi chi cazzo li compra i diritti"? E "se me porti tre squadre che non valgono un cazzo, tra due o tre anni nun ci avemo più na lira".

Ora tocca al governo dello Sport, vale a dire al sottosegretario Graziano Delrio intervenire sul pavido presidente del Coni Giovanni Malagò e costringere Lotito alle dimissioni per incompatibilità con le leggi e con l'etica dello Sport. Da solo infatti Malagò non ce la fa: ieri sera ha speso più parole a difenderlo che a censurarlo. Di sicuro a espellerlo dalla Federazione non sarà il suo presidente Carlo Tavecchio che si è esibito in uno slalom doroteo che lo stesso Lotito in serata, da spavaldo impunito, ha commentato così: "casta vixit". E poi, traducendo dal latinorum al romanesco: "è l'ometto mio".

A sua volta Lotito è da sempre l'uomo di mano di Galliani, del Milan, e di Preziosi, del Genoa, che fu l'unico presidente di calciopoli ad essere beccato con una valigetta piena di soldi. Dei tre, che fanno allegra combriccola a Forte dei Marmi, lo stesso Galliani ha detto: "Siamo un tris di spiritosi umoristi". Ma nella registrazione che abbiamo mandato in rete su Repubblica. itLotito non parla più come lo spiritoso cafone che arrivando al Tg3 salutò le signore dicendo "pace e pene" e fu subito buttato fuori. Qui invece dice: "Quando uno ha bisogno di soldi va da un amico, e un amico pesa" che è il linguaggio del sopracciò, del distributore di denaro e di amicizia, vale a dire del potere. E infatti Lotito, dispensando la grazia a Macalli, ha deciso di confermarlo presidente dei semi prof. perché "s'è messo a piagne e ha detto: non m'ho potete fa, me dovete aiutà, è da 35 anni che ce conosciamo". E "l'amicizia pesa".

Insomma il presidente della Lazio è una specie di Sindaco del Rione Sanità di Eduardo, quel "pezzo d'uomo che teneva il quartiere in ordine, componeva le vertenze, mangiava il naso ai nemici" e che ha ispirato Francis Ford Coppola per don Vito Corleone. Come il don Antonio di Eduardo, "che rendeva il mondo meno rotondo e più quadrato", e come Marlon Brando, Lotito si vanta di non volere incarichi, non ambisce ad esibire il potere formale: "Vi tranquillizzo, io non sono candidato a niente, non mi interessa ...". Lui è solo "un inventore" e dunque "fammece pensà, possiamo fare un'anticipazione di cassa sui progetti della fondazione". Perché? "Perché decido io". I presidenti infatti non contano nulla, come il suo fidatissimo Tavecchio e come Maurizio Beretta che è liquidato così: "Zero!".

Dunque ora tutti sappiamo che c'è sempre stato un progetto furfantesco dietro la comicità di Lotito, di cui abbiamo colpevolmente troppo riso perché è servita al giornalismo spettacolo, dal Processo del lunedì alla Domenica Sportiva e Stadio Sprint... sino alla prosa colta degli intellettuali raffinati che si compiacciono nell'esegesi del plebeismo quasi fosse l'essenza popolare del calcio, un po' come Machiavelli che amava giocare a carte nelle bettole. Per anni hanno riso dei sei telefoni che a volte gli suonano tutti insieme nelle tasche dove tiene rotoloni di contanti. E ci sono i collezionisti della sue frasi strampalate, da "le diastole non sono dialisi " a "prendere le vacche per le zinne e i tori per le palle". Per non parlare delle sue mille insolenze, come quella riservata al dirigente della Juve Marotta, che è un po' strabico: "Lasciatelo sta', quello con un occhio gioca al biliardo, e con l'altro segna i punti ".

Ebbene a quel Lotito gradasso che sognando di scendere in politica diceva "fateme lavorà pè la polis" e "l'Italia ha bisogno di un governo con dieci Lotito" e "io in politica sarò meglio de Della Valle perché a Cortina ci ho la casa più grande della sua", insomma al vecchio Lotito del folclore è per sempre subentrato il mariuolo: "In Lega di A ho 17-18 voti " e "ho messo Pozzo in Consiglio federale" e "il rapporto personale ha un peso". Solo nella Figc questo lessico non è messo ai margini. Altrove è tenuto a bada ora dalla buona educazione ora dalla forza pubblica. Nel calcio è il linguaggio del potere, anzi dello strapotere di Lotito: "Ho detto ad Abodi: Andrea se mi porti squadre che non valgono un cazzo ..." Al di là del calcio, Lotito è la controprova del drammatico destino che impedisce a Roma di avere un'imprenditoria normale. Solo pittoreschi palazzinari, furbetti der quartierino, ospedalieri arricchiti in corsia come evoluzione dell'industria del caro estinto. Sposato con Cristina Mezzaroma, Lotito è imparentato con una delle più ricche famiglie di costruttori che un po' lo subisce e un po' lo promuove: lo manda avanti per vedere di nascosto l'effetto che fa. Alla giunta Veltroni, per esempio, Lotito presentò un progetto per una mega cittadella della Lazio sui terreni di famiglia nella via Tiberina: lo Stadio delle Aquile, una giungla di palazzoni, persino un campo d'atterraggio. Veltroni gli disse: "Lotito, guarda che Roma è già stata costruita".

E però le sue imprese di pulizia e di vigilanza, che molto devono alla Regione e alla Provincia dei tempi di Storace e della Polverini, sono arrivate sino all'aeroporto di Mal- pensa. Anche nella gestione della squadra è riuscito a spalmare il debito, si è giocato calciatori a biliardino con gli sceicchi arabi ma per i suoi modi aggressivi e verbosi è uno dei pochissimi casi di presidente odiato dai tifosi.

E trascina i cronisti sportivi a mangiare da Assunta Madre: "paghi te però" Il ristorante è quello dove Dell'Utri fu intercettato dall'antimafia: in una scenografia nera e in un eccesso di bollicine e di vassoi di pesce, tutti sembrano comparse del film Terapia e pallottole . Lotito mangia il prosciutto con le mani, rimane a tavola almeno quattro ore, in lui ci sono la posa, il codice, il posizionamento e quella schiuma di arraffo sui beni primari che ovviamente non è uno stile ma solo un umore degli imprenditori romani: la lingua greve, la camminata sguaiata, i suoi cappotti neri svolazzanti, i bottoni che saltano sopra la cintura e tutto quel farneticare di Kant, le citazioni di Manzoni che "ispira la poetica della Lazio" e poi Pascoli e la Gazzetta dello Sport , e Renzi che "se deve mette a leggè la pioggia nel pineto", e " mo' ce vuole 'na scossa, io sò la scossa" e " l'umanità o è 'psichiatrica o è chimica". Anche la villa sull'Appia antica è degrado di ricchezza: statue, capitelli, camini di marmo, una grande aquila di legno, un'immensa scrivania sulla quale poggia i piedi e dice "io sò laureato in pedagogia con 110 e lode", "io dormo tre ore a notte", "io sò autorevole ". Ecco, se non fosse stato registrato e smascherato da Pino Iodice, direttore generale dell'Ischia Isola verde chissà con quanto fumo da macchietta ci avrebbe ancora storditi, con quanto altro non sense e latinorum, "io sò sinestetico", "est modus in sciaradis", "io sò un patròn non un cogliòn". Nel film C'eravamo tanto amati l'Aldo Fabrizi/Claudio Lotito resterà solo e disperato nell'immensa pacchianeria della sua villa a consumare l'ultima trippa.

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